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| | | | Il tempo dei colonnelli PREVISIONI DEL TEMPO. SONO I PROGRAMMI PIÙ SEGUITI, CON UNO SHARE ALTISSIMO, PERCHÉ? CON UN PIZZICO DI IRONIA CE LO SPIEGANO DUE SIMPATICONI SEMINARISTI IMPREVEDIBILI NEL TEMPO. Certo, non si può negare che uno dei programmi più visti, anche se non sembra vero, è il Meteo che segue ad ogni telegiornale televisivo o radiofonico; oggi, grazie alla tecnologia cellulare, le notizie di ogni genere, tra cui, per l'appunto, quelle meteorologiche arrivano anche tramite breve messaggio sms. Il meteo non viene solo trasmesso dopo ogni telegiornale, ma anche in determinati orari strategici, in cui si sa che le persone si trovano "chiantate" al televisore e che non se ne andranno fin quando non avranno ascoltato le previsioni. Ma previsioni di che? Del tempo? Ma è l'uomo che appartiene al tempo o il tempo che appartiene all'uomo? Certo, è più facile rispondere che il tempo appartiene all'uomo tenendo in considerazione il detto: "non ho tempo", come se uno lo possedesse; ma nella realtà non è così, perché come l'uomo non può far diventare nero o bianco un solo capello della sua testa ("Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello", diceva qualcuno circa 2000 anni fa, Mt 5,36), così non può possedere nemmeno il tempo, ovvero non può né aumentare ne diminuire le (sue) ore della giornata. Ma poiché, diciamocelo pure, prevedere il futuro è il desiderio di ogni uomo, non potendo altro, le persone cercano almeno di prevedere il tempo per organizzarsi il weekend che ormai anche in Italia come negli Stati Uniti (?) parte dal venerdì. E così, quando iniziano a parlare i vari "Colonnelli" delle reti televisive, si spalancano le orecchie e inizia il calvario perché, quando vedi sul teleschermo che è prevista "pioggia" e "mare tempestoso" da venerdì a sabato, allora sembra che il mondo intero c'è l'abbia con te, e così ti affacci alla finestra non di certo con lo stesso umorismo della canzone: "affacciati alla finestra bella mia!". Ma per cercare un barlume di speranza e vedendo il cielo rosso, "non per un amore che non posso", ma perché: "rosso di sera bel tempo si spera", ti rallegri un po' e allora cambi quel meteo e cerchi le tue previsioni, ossia cerchi qualcuno che non ti contraddica, che aggiusti quel tempo così ingrato; ma, su un altro canale si prevede "mare molto mosso" e allora dopo aver cantato: "ci vorrebbe il mare con le sue tempeste", cerchi su qualche altro canale, già rassegnato a cantare: "scende la pioggia ma che fa!". Ed ecco, ad un tratto, trovi quel bravo meteorologo che ti dice: al Nord nuvole, al Sud cielo, di "sole e d'azzurro". Portando avanti il suo programma il meteorologo sembra parlare con te e ti dice: "dammi tre parole", sole, mare poco mosso, una leggera brezza; e allora tu, per ringraziarlo, gli parli, sì, gli parli, perché il rapporto tra te e lui è diventato personale e gli dici: "un' estate al mare, voglia di nuotare per vedere gli ombrelloni oni oni" oppure, "azzurro, il pomeriggio è troppo azzurro e lungo per me", perché, magari, se la giornata è troppo bella e tu sei solo pure ti annoi; anche a questo punto il meteorologo amico ti viene in aiuto e cambiando canale ne troverai qualcuno che ti dice: al mattino sereno, nel pomeriggio "gocce gocce su di te". Ma, prima di spegnere la TV aspetta. Qualunque sia il tempo che farà, conta come sarà (e questo dipenderà molto dalle tue "perturbazioni"). Dunque: "buona domenica". | | | | | | | | Ottavio, Arrivederci! "Carissimo don Liborio mi ha fatto molto piacere avere potuto parlare con lei per andare piano piano alla scoperta del cammino del Signore. Tante grazie di avermi dato l'opportunità di poter ascoltare al telefono i miei compagni di seminario, per il momento il mio stato di salute è normale per la mia condizione e tutta la mia famiglia mi accompagna giorno e notte senza lasciarmi un minuto da solo. Grazie a questo e alle vostre preghiere e a quelle di tanti altri sto vivendo giorno per giorno con molta pace e tranquilità il cammino che mi porterà alla fine della strada. Ogni dolore e sofferenza io li ho offerti per tutti i seminaristi che vogliono essere servitori di nostro Signore Jesu. Ugualmente per il Papa,Vescovi, Preti e Diaconi. In sintesi tutta la Chiesa che lotta per l'evangelizzazione, in speciale per tutta la diocesi di Trapani. Spero di avere un' altra opportunità di scriverle un altro messaggio per poter raccontare il bel cammino che mi porterà a conoscere la vera luce. Riceva da me e da tutta la mia famiglia i nostri ringraziamenti. Un forte abbraccio in nostro Signore Jesu". Ottavio Caro Ottavio, ci è dispiaciuto molto non aver potuto seguire con te gli ultimi momenti della tua vita. Solo qualche parola al telefono, e sei sato simpatico, come sempre. Ma ora abbiamo parlato con tua sorella Vera e tuo fratello Manuel; essi ci hanno resi partecipi di quei giorni in cui la nostra preghiera ti accompagnava mentre tu eri "alla fine della strada" e non avevi ancora terminato "il bel cammino che porta a conoscere la vera luce". Sappiamo che ti sei pure divertito, che hai scherzato per l'ossigeno che le tue sorelle non sapevano usare, che ogni pomeriggio ti sei riunito in preghiera con i tuoi familiari per prepararti insieme a loro al grande tuo passo. Avrai fatto in quei giorni la conta di tutte le misericordie di Dio nella tua vita; tu, che ti riconoscevi peccatore, e avevi certe volte lo sguardo di un bambino. Nella nostra ultima telefonata mi hai detto che ci proteggerai; noi ci contiamo molto perché sappiamo che hai mantenuto sempre le tue promesse. Adesso tu sai perché sei arrivato nel nostro seminario, da vedovo, con cinque figli, con poche parole di Italiano, e la vocazione al sacerdozio; noi ancora ce lo chiediamo e cerchiamo un senso a questa tua presenza così semplice, così silenziosa, così amabile tra noi, venuta in breve tempo a mancare. Ci sono persone come te, la cui assenza è più avvertita della presenza: discrezione incisiva delle anime buone! Sappiamo che anche tu, proprio negli ultimi giorni, ti sei chiesto che senso avesse avuto essere giunto al seminario di Trapani, aver ricevuto l'Ammissione tra i candidati agli ordini sacri, dopo aver lasciato il tuo Paese, i tuoi figli, le tue cose. Poi devi averlo capito, perché non ne hai parlato più, sei ritornato nel silenzio gioioso di sempre; forse la risposta più chiara l'hai avuta quando te ne sei andato: a Trapani, nello stesso momento, noi tutti presbiteri, stavamo rinnovando le promesse del sacerdozio davanti al nostro vescovo; misteriosamente tu venivi incardinato, e subito il tuo sacerdozio entrava nell'eternità. Dunque ti darai da fare per l'edificazione della nostra Chiesa, favorirai la comunione del nostro presbiterio, ci ricorderai il silenzio durante certi vaniloqui che affliggono la vita delle nostre chiese. Tutto ha un senso, anche questa tua morte. Ed è più facile parlarti, ora, Ottavio. Non si ha più paura di essere fraintesi, quando l'altro conosce le tue intenzioni che vanno "oltre" le tue parole. Quando si muore così come te, con questa assoluta coscienza di fede, la morte ha come una sua dolcezza: è come se l'amore l'avesse svuotata di ogni sua pretesa; essa si presenta annullata, umiliata, sola, e triste infinitamente. E' la morte a far pena in chi muore così. Poichè tu avevi già lo sguardo oltre ad essa, è come se, meschina, non esistesse, e il suo pungiglione sdentato fosse debole, più debole, molto, delle tue ossa cancerose. E tu sei diventato invincibilenella tua ultima debolezza, tenace nel tuo ultimo abbandono, in corsa strenua, come nelle nostre partite di pallone, per quel tuo tocco leggero che guadagnava tutto con un piccolissimo sforzo. Dunque Addio, Ottavio. Accetta questa lettera, e scusa il suo ritardo. Attendiamo, con fiducia, le tue risposte. P. Liborio e la Comunità del Seminario | | | | |
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| | | | | Del mangiare Se l'appetito vien mangiando
., noi allora possiamo ben dire di aver preso gusto a fare "Le storie di Sem". E siccome noi non siamo cucchiaio per ogni minestra cerchiamo di andare avanti offrendovi almeno la nostra sincerità e il desideriodi farci conoscere così come siamo. Anche in questo numero speriamo di accontentare il vostro palato parlandovi di
cibo. Non pretendiamo di aggiungere nulla alla letteratura sterminata sull'argomento, semplicemente cercavamo "altro pane per i nostri denti". Il motivo di questa scelta è che, come in tutte le realtà comunitarie, per esempio la famiglia, anche nel nostro seminario la tavola è un momento importante di confronto, di dialogo, di accoglienza, e il mangiare, strumento di conoscenza. Così, d'altra parte, è in tutte le culture. I Greci, mangiando e bevendo nei loro simposi, diventarono poeti e filosofi. La tavola, dunque, è sinonimo di vita e gioia, ma anche di morte: essa, ad esempio, era il luogo attorno a cui i Greci anziani organizzavano i loro ultimi mortiferi simposi, con brindisi finale di cicuta
spumante (e si capisce da dove). E oggi a tavola si muore ancora per l'ingordigia della mente e del suo corpo, come apprendiamo in un articolo, piatto forte di questo numero. Non a caso la tradizione cristiana chiama "appetiti" quell'appetito dei sensi che dilaga perversamente al di fuori delle tavole imbandite, perché - parola del Vangelo - non è ciò che entra nell'uomo, il cibo, a contaminarlo, ma ciò che esce dal suo cuore, cioè le sue intenzioni cattive e i suoi pensieri inquinati. Ma che a tavola, oltre che vivere, si possa anche morire, ce lo dicono oggi, "in tutte le salse", giornali e televisione, che lanciano l'allarme intorno all'obesità opulenta di molte nazioni ricche invitando a mille portentose diete; a tavola si muore anche altrove, dove milioni di esseri umani, per giorni e giorni, sulla tavola non trovano nulla: loro restano a digiuno di cibo e compassione, e noi nel nostro brodo. Potremmo ancora giocare sulle metafore del cibo (pensiamo alle tante occasioni succulente, a quelli che si mangiamo con gli occhi per buoni e cattivi motivi, a chi, fortunato, ha sempre il cacio sui maccheroni), ma faremmo a questo punto aria fritta; esprimiamo comunque il rammarico che un cibo, polenta e torrone, dividano l'Italia in due, e la gioia che spaghetti e pizza ci riunifichino a livello planetario. Non ci resta che invitarvi alla nostra tavola. Scoprirete che, a parte gli educatori, "a tavola non s'invecchia" per davvero, se non altro perché i seminaristi ci trascorrono pochi anni, e quelli della giovinezza. E se, come si dice dalle nostre parti, la "tavula è trazzera", cioè "una strada", esprimiamo il desiderio che tanti giovani ci mettano piede per un cammino che "sazia" il cuore. | | |
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| | | | | Tra Mente e Corpo Quando il cibo è troppo (di Vito Saladino) Mali del benessere; così vengono definite anoressia e bulimia, vere e proprie malattie che affliggono il 4 - 5% delle donne tra i 13 e i 35 anni soprattutto istruite ed economicaMente avvantaggiate (anche se i casi maschili sono in continuo aumento). Si tratta di sindromi culture-buond, legate cioè ad uno specifico substrato culturale: quello dei paesi industrializzati. Tra gli aspetti culturali determinanti c'è l'elevata disponibilità di cibo, anche superfluo, nonché un modello di bellezza predominante per cui magro è bello e vincente. La psiche soffre così per l'impossibilità di accettare un "involucro" che non gradisce. Un alterato rapporto col cibo tradisce dunque una difficile convivenza tra Mente e Corpo, un problema di inserimento nella società e di relazione. Si tratta di sindromi che sul piano psicologico sono caratterizzate da una confusione tra bisogni diversi, erroneaMente sedati con il cibo, strumento per una gratificazione sostitutiva. Il Corpo spesso viene esperito come separato da sé e per questo la deprivazione del cibo e le forsennate abbuffate, seguite da vomito autoindotto, sono il tentativo di disciplinarlo allo scopo di sviluppare un senso di individualità e di efficacia interpersonale. Vito Saladino prova a descrivere questo complicato rapporto tra Mente e Corpo. Se non fosse "di cattivo gusto", diremmo che è un articolo da "divorare" voraceMente. Occhi sgranati fissi sul piatto, bocca serrata, mani sulle ginocchia; è iniziata la dieta "fai da te"! Ubriaca di morboso ossessionante desiderio Mente guarda risoluta quell'insulso involucro che l'attanaglia soffocandola. Ha deciso: lo comprimerà, lo schiaccerà, lo strizzerà nella forma che lei vorrà, nelle linee armoniche della perfezione. E già sorride di un senso eroico di vittoria, pervasa dalla soddisfazione e dal delirante piacere di sentirsi amata. Corpo rassegnato sa già quel che l'aspetta: si allargherà e si stringerà. Mente lo costringerà prima alla fame, piena della fierezza del suo dominio. Poi, con disperata voracità, lo costringerà a vertiginose fagocitazioni per inondare un vuoto con ciò che, si accorgerà, non riempie, e, per questo, accusandolo di un' odiosa colpa, lo punirà costringendolo a ripetuti, dolorosi, umilianti svuotamenti che, nuovaMente, daranno a Mente l'illusoria certezza di avere il controllo. Corpo ama Mente, sono insieme da sempre, e non capisce perché Mente soffra tanto a stare con lui. Se solo qualcuno gli avesse fatto una carezza, lo avesse baciato, se solo qualcuno gli avesse detto che era bello! forse anche Mente se ne sarebbe convinta e ora, insieme, sarebbero una cosa sola nel mondo. Ma come può Mente amare quel Corpo che nessuno le ha fatto sentire amabile, come può essere nel mondo con lui, che si staglia come insuperabile barriera tra lei e gli altri, tra lei e l'amore! Perciò Mente si compiace di un ideale Corpo, imbattibile rivale della sua "membrana" che mai, per le ingiuste leggi della genetica, potrà aderire alle pareti di un così perfetto stampo. Perciò Corpo, inevitabilMente vinto nell'insensato confronto, forte di pazienza e consapevole di impotenza, soggiace alla indisciplinata follia di Mente che, invaghita di un altro che non le appartiene, disprezza ciò che da sempre è suo e che esiste per appartenerle. Nati insieme per essere una cosa sola, Corpo soffre la solitudine della non appartenenza e Mente quella del disprezzo; del disprezzo sofferto, perché almeno non negato e per questo agito contro ciò che, percepito come altro, non è altro da sé. Sottile, invisibile dolore silente fa di Mente e Corpo due e non uno, fa la vittima carnefice del suo carceriere. | | |
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| | | | | A tu per tu con
Giancarlo Bini Giancarlo Bini è un musicista, insegnante, direttore di coro e compositore. Uomo del Nord ha deciso di vivere a Trapani immergendosi nella bellezza e nella povertà della nostra terra. Il suo cammino di fede strettamente congiunto al suo lavoro di artista ci hanno incuriosito. Gli abbiamo chiesto un "A tu per tu" e lui volentieri ha accettato. SEM: Giancarlo Bini: artista e credente. Un cammino abbastanza inconsueto; siamo portati a pensare gli artisti lontani da una fede confessionale
GIANCARLO: Si fugge da ciò di cui si ha paura. Il mondo della cultura, dell'arte, della scienza a volte teme di abbandonarsi alla "ragione del cuore", quello proprio della fede, lo sente come perdita del proprio autocontrollo raziocinante
SEM: Tu hai superato questa paura
qual è stata la tua esperienza?! GIANCARLO:Io vengo "dalla soglia", quindi da una realtà lontana dalla Chiesa istituzionale; e, per grazia di Dio, sono stato ascoltato. Si tratta ora per me di vivere la parola del Vangelo, quella che dice Gesù: : "Se qualcuno vuol venire dietro a me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua." Il Signore sa, se ci sto provando o meno. Tuttavia non è facile. SEM: Quali sono le difficoltà che hai trovato all'interno della comunità ecclesiale GIANCARLO: Chi ha trovato pace nella Parola di Dio spesso rifugge da tutto ciò che ad essa non è strettamente collegato, bollandolo come presuntuoso o futile, o catalogandolo come prodotto elitario. Come se non fosse stato il Signore a darci l'arte ed il pensiero. Il percorso del sapere dell'uomo, dalla sua origine fino ad oggi, non fa parte del disegno di Dio? SEM: Sappiamo che proprio per questo hai molto apprezzato il Piano Pastorale del Vescovo sulla comunicazione e la cultura GIANCARLO: Oltre ad essere un musicista sono un insegnante e, come tale, mi chiedo se vogliamo veramente permeare di amore cristiano la cultura o, piuttosto, usare al minimo i mezzi che la cultura e l'arte ci prestano per quel tanto che servono ad ottenere consenso e comprensibilità da parte dell'uomo medio. Credo che il Piano Pastorale del Vescovo sia un primo punto di arrivo di un cammino che la nostra Chiesa di Trapani sta facendo a partire dal Giubileo degli artisti. SEM: Ti riferisci alla pastorale degli artisti? GIANCARLO: Sì, un percorso che è approdato alla bella esperienza estiva di IncontrArti, a cui anche il Piano Pastorale fa riferimento. In questa manifestazione ritengo che si sia espressa in forma felice la capacità di una comunità cristiana di accogliere il pellegrino; di stare a sentire il suo racconto di viaggio; di confortarlo con la conoscenza di persone valide e disponibili. SEM: Cosa diresti ai giovani che amano la cultura e vogliono fare un cammino di fede? GIANCARLO: Di non confondere la mediocrità con l'ignoranza. Ignoranti siamo tutti, in diversa misura, mentre la mediocrità è propria di un animo privo di aspirazioni e pigramente pago di sé e della propria limitatezza. In una parola: meschino. Credo che si debba curare il rapporto tra la vita cristiana e gli strumenti sempre più potenti e complessi che la comunità pensante della società, sia essa anche agnostica od atea, riesce a scoprire e ad inventare. Solo in questo contesto di libertà si può scegliere, fare discernimento
Il sapere può diventare un medium per arrivare a Dio, posto naturalmente che a Lui si possa giungere per infinite vie. L'istruzione migliora il mondo. L'educazione lo rende più civile e consapevole. La cultura lo nobilita. L'amore lo innalza. La fede lo salva: non credo che si possa saltare uno di questi passi. Così del resto ha sempre fatto e continua a fare la Chiesa, in un mondo che sempre di più, tuttavia, chiede strumenti per poter attuare autonomamente le sue decisioni. Io prego perché ciascuno di noi, a partire da me stesso, trovi la forza per aprirsi a ciò che non ha ancora accolto nella propria vita e di cui ha ancora tanta paura, sia esso la Parola di Dio, quanto la spesso vana parola dell'uomo. La prima non abbisogna di nulla, la seconda solo di qualche sforzo per scorgervi e salvarne la bellezza, ove compaia. E anche la ricerca della bellezza non si esaurisce al primo incontro. Umberto Eco un giorno dichiarò che il libro più bello in assoluto è la Bibbia, ma ritengo che ne avesse letti molti altri. | | |
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| | | | | Fabiano Castiglione: un prete tra noi! Sem: Fabiano, sei prete da otto mesi. E sei già alla tua seconda esperienza pastorale; prima Alcamo, ora San Vito
qual è l'aspetto del ministero sacerdotale che ti ha colpito di più.. Fabiano: Penso la maturità umana che esso richiede
Da prete incontri non solo la vita esteriore delle persone, ma anche quella interiore, fatta di bellezza, ma anche di contraddizioni
ti si richiede fermezza, conoscenza di te stesso
si tratta di aiutare gli altri a rialzarsi, senza cadere assieme a loro
in questi mesi ho capito quanto ancora devo crescere, ma, nello stesso tempo, mi sento molto cresciuto, più responsabile delle cose
Sem: Dunque il seminario non basta
Fabiano: In seminario ti costruisci gli strumenti, ma è dopo che impari ad usarli
nessuna realtà può insegnarti tutto della vita
.un pianoforte può essere accordatissimo, tu puoi conoscere perfettamente la partitura, ma è quando sei davanti al pubblico che verifichi l'incontro misterioso tra quello che sei, quello cha hai imparato e il livello di attenzione di chi ti ascolta
io sapevo ciò che mi aspettava, ma non l'avevo vissuto
ciò che mi rimane del seminario è la convinzione ferma della chiamata di Dio, l'esperienza comunitaria meravigliosa, e la bellezza straordinaria,tante volte immaginata, dell'essere prete
se vogliamo tutto è un po' più difficile di come te lo aspettavi, ma anche più bello
Sem: E che effetto ti fa tornare in seminario qualche giorno alla settimana.. Fabiano: Un effetto protettivo...la vita pastorale ti getta un po' nella mischia, in seminario ritrovo il silenzio, su cui devo imparare ancora di più a costruire la mia vita sacerdotale, e poi la forza della preghiera comunitaria Sem: E la musica? L'hai abbandonata? Fabiano: Io non abbandonerò mai la musica, semplicemente essa è diventata uno dei tanti strumenti dell'orchestra della mia vita
non terrò concerti per guadagnare dei soldi, ma spero di diventare la colonna sonora di tante vite che hanno bisogno di sentire l'annuncio del Vangelo, di ascoltare la misericordia di Dio, ecco la misericordia è una musica straordinaria, spero di farne un concerto gratuito e aperto a un pubblico speciale, quello di tutti i poveri, i sofferenti, le persone tristi che incontrerò. Sem: Una particolare difficoltà incontrata? Fabiano: Se può chiamarsi una difficoltà, quella di affezionarmi troppo alle persone
già il distacco da Alcamo è stato emotivamente travagliato, e lo stesso, ne sono sicuro, sarà con San Vito
credo sia il prezzo irrinunciabile a voler vivere pienamente la propria umanità e il dono ricevuto da Dio. | | |
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| | | | | Ma che c'importa a noi della Corea? Vi diamo un breve, forse confuso resoconto, del travaglio da cui è nato questo numero e la sua copertina. Avendo rinunciato, per orgoglio nazionale, a sviluppare il tema: "Classificazioni del gioco della Corea ai Mondiali del 2002" abbiamo ripiegato su un altro argomento assai più interessante: "Internet e computer: pro o contro?". La discussione in redazione, come al solito, non è mancata. "Sarebbe interessante sapere cosa pensa Trapattoni", ha detto qualcuno. Ma per non ricadere nel doloroso tema abbiamo chiesto la stessa cosa al professore Fava (vedi intervista all'interno); a Trapattoni abbiamo preferito mandare un libro di preghiere e un manuale sul corretto e canonico uso dell'acqua benedetta. La linea generale d'opinione di tutta la redazione è stata favorevole all'innegabile progresso dei Tempi Moderni rispetto a quelli Antichi. Qualche leggero dissenso è sopraggiunto durante gli ultimi minuti di Italia-Corea, quando, a Palermo, hanno tolto la corrente elettrica, lasciandoci nel radiofonico tormento della Gialappa's e, per la verità, anche nell'unico momento di serio avvicinamento relazionale con i nostri vicini di palazzo, affacciati anch'essi alla finestra di fronte a quella nostra, e anch'essi depressi. Ma di Mondiali e di Corea avevamo deciso di non parlare. Dunque procediamo. Il tema ora ci prendeva. I filosofi scatenavano le loro riflessioni producendo pensieri di rarefatta (sic!) tensione intellettuale. Ma accadeva a questo punto qualcosa che incrinava la nostra euforica fiducia sul potere positivo della scienza e della tecnica. Durante una delle solite partitelle del venerdì, improvvisamente, Salvatore Di Gaetano subiva la violenza di un tiro mancino (quello che al novantesimo non era riuscito a Vieri nella partita contro la Corea) e riceveva, comunque sia, un soccorso pronto ed immediato. Nell'ode corale che inneggiava al progresso internettiano si insinuava dunque il tema della caducità umana sempre sottoposta all'imprevedibile corso degli eventi, e poco ci mancava che qualcuno, sul braccio ingessato di Salvatore, non scrivesse un articolo per Sem, intitolato: "La sconfitta dell'Italia con la Corea, un segno per il Paese tutto da interpretare". Per fortuna ci pensava Giuseppe Cacciatore a fare una sintesi più calibrata del problema, e qualcuno si buttava sulla spiritualità per tessere l'elogio di un possibile Internet del cuore. Commovente, a quel punto, il tentativo di padre Liborio di cercare su Google l'albero genealogico dell'ecuadoreño arbitro Moreno a voler scovare almeno un suo lontano avo emigrato dalla lontana Corea. Intanto spinose questioni antropologiche tormentavano Vito Lombardo, che arrivava a chiedersi, in un passaggio cruciale, se avrebbe potuto mai accettare di chattare con qualcuno dal nickname provocatoriamente coreano. A questo punto bisognava fare una sintesi di tutte le domande rimaste sospese. Abbiamo fatto ricorso alla produzione di una nuova copertina, il cui risultato potete ora ammirare. In essa la testa di gesso di Apollo e il braccio ingessato di Salvatore danno l'idea di un pensamento ancora in atto, in bilico tra il passato ed il presente, con quel mouse giallo (giallo coreano?) posto tra loro a non risolvere nessuno dei problemi scottanti posti sul tavolo dalla redazione, nella fattispecie, il sicuro intervento di Apollo a favore della Corea e il braccio ingessato di Salvatore, doloroso segno per noi del corso imprevedibile degli eventi per la caducità delle umane cose. Tutto chiaro, vero? E per buona pace di tutti, al posto del lungo articolo sulla Corea, su quel braccio ingessato, brevemente abbiamo scritto: "Buona Estate!". E' l'augurio che vogliamo farvi, nonostante l'Italia sia stata eliminata dai Mondiali, e nonostante vi possa ancora venire l'insana idea di una splendida vacanza nelle ormai familiari terre del sud
della Corea. | | |
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| | | | | "Sa fare tutto Lui" Un articolo denso. Giuseppe Cacciatore, provocato da noi per il suo rifiuto dell'uso del computer, ha risposto, e a colpi di pensiero filosofico. Questo articolo merita di più del solito sforzo di lettura richiesto da Sem. Si tratta in fondo di dare al computer quello che è del computer, e all'uomo quello che è dell'uomo. O forse di togliere al computer quello che si è dato, togliendolo, pericolosamente, all'uomo. Il dibattito sull'uso dei computer rischia sempre opposti estremismi: c'è chi ne demonizza l'uso, e chi arriva a dire "sa fare tutto lui". Più spesso, però, c'è chi ne rivendica semplicisticamente un uso strumentale dicendo che il computer ci facilita la vita. Ed è vero. Il computer è solo un calcolatore, un buon memorizzatore, alcune cose sa farle meglio dell'uomo, permettendogli magari di dedicarsi alla creazione di cose nuove. MA COSA? Già, questa macchina è frutto della sua creatività, fondata giustamente su un reticolo di programmazione matematica, di freddo calcolo e conoscenze empiriche. Ora l'uomo, cosciente della sua intelligenza, non esclude che una programmazione di una sua programmazione possa avere un'esistenza almeno isomorfa alla sua, cioè che un robot possa creare un altro robot, aprendo così delle interessanti problematiche su cui oggi discute la "mentalica"* all'interno delle teorie della complessità. Supponiamo che un'intera generazione rinunci alla sua prerogativa di intelletto calcolante delegandola per pigrizia, per convenienza
al computer che "sa fare tutto Lui": su che cosa programmerà la sua programmazione, la sua nuova creazione? Sembrano cose astratte, ma così non è. Le giovani generazioni hanno un'intelligenza spiccatissima perché essa vive necessariamente in concorrenza con una macchina; ma, appunto per questo, ha un pessimo senso pratico del reale, poca padronanza di linguaggio e scarsa sensibilità relazionale, sostituita da laconici messaggi SMS. Evidentemente, l'uomo ha inventato un prodotto che, a sua volta, ha prodotto un nuovo uomo, il quale però, non possedendo più quella mediazione programmatica fatta di calcolo e senso pratico a cui ha rinunciato, gira a vuoto su esistenze di seconda mano, isomorfe, superiori spesso alla sua stessa consapevolezza e che non solo parlano di lui, ma per lui. E' una nuova prospettiva del trascendentale kantiano, che si preoccupa di inventare a conoscere non solo qui ed ora, ma anche in un futuro virtuale. Ora a mio parere (e non solo mio) l'invenzione creativa scorre come su di una filettatura di una vite che penetra col verso elicoidale prima dell'intelletto calcolante, poi della creatività romanticamente intesa (svincolata da ogni regola), e infine della tecnica che ritorna quale regola normante di quella creatività che, così, ora diventa un buon verso in poesia, ora una buona armonia in musica o nella danza ecc
Ma, se fin dall' istruzione elementare un bambino è educato alla creatività ad ogni costo, senza l'arida nozione di geografia, storia, sintassi, aritmetica
, verranno fuori, nell'arte come nei discorsi sulle piazze, giri di vite a vuoto, inutili, che scorrono senza penetrare perché senza memorie significative, senza orientamento. O come tristi chiodi al muro che non sanno reggere un quadro perché gli manca quella prima tensione che si appunta sull'intelletto calcolante. E' quella strana condizione che al grande potere sulla materia e alla capacità di dominare l'universo fisico, non fa corrispondere la capacità e neanche la voglia di penetrare nelle realtà intelligibili. La disperazione di tragiche morti non è solo mancanza di un pensiero scientificamente forte, né di uno dialettico come quello hegeliano, ma l'assenza di un disporsi poetico, rammemorante, leggero
che non ha alcuna pretesa di rovesciare o rigettare nulla, semmai di accompagnare al tramonto una realtà virtuale. * La mentalica è una branca della filosofia. | | |
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