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Biblioteca “G.B. Amico”
del Seminario Vescovile di Trapani
L’AltraVisione 2004-2005 - (IV edizione)
17 dicembre 2004
Il
ritorno
di Andrey Zvyagintsev
[Russia 2002, 106 min.]
Sceneggiatura:
Vladimir Moiseenko, Alexandre Novototsky
Fotografia:
Mikhail Kritchman
Musica:
Andrey Dergatchev
Interpreti:
Vladimir Garin, Ivan Dobronravov, Konstantin Lavronenko, Natalia Vdovina
LA STORIA
Semplicissima. Un uomo di mezza età
ritorna, dopo essere stato assente per molti anni, al focolare domestico e
fa finalmente la conoscenza dei due piccoli figli. Subito decide di
compiere un viaggio con loro verso un' isola dove i tre passeranno alcuni
giorni a pescare e, naturalmente, a conoscersi in maniera più
approfondita. Il padre si dimostra a volte affettuoso, ma il più delle
volte burbero e intransigente. I due figli Andrej e Ivan nutrono nei suoi
confronti sentimenti contrastanti: mentre il primo si lega subito al
padre, il secondo è sempre più ostile e non crede affatto nella sua buona
fede, fino al punto che…………………………..
Una lettura teologica?
Quando a Venezia proiettarono Il ritorno (era più di
un anno fa) mi capitò di ascoltare alla radio dei commenti e di poter
ascoltare alcuni dialoghi del film. Subito mi attrasse il tema e, dai
dialoghi radiofonici, immaginai una pulizia di immagini che poi non mi ha
deluso affatto. Il ritorno di un padre (in un tempo in cui la paternità
sembra essere una sfida difficilissima) mi sembrava già tema coraggioso.
Pensai subito che si trattasse di un tipico racconto di formazione,
quindi di natura prettamente psicologica e dalle connotazioni fortemente
pedagogiche. Una iniziazione alla vita: questo sembrava essere il nucleo
del film, anche a sentire e leggere le prime recensioni. E lo è, in
effetti, ma solo in parte.
Il film, abbastanza inaspettatamente,
vinse. Ne fu elogiato il vigore stilistico, l’impianto tarkoskijano, la
forza simbolica e la tersa drammaturgia. Di teologia nessuno parlò. Poi
sul film calò il silenzio. Un giorno però un amico, che me ne aveva
sentito parlare, me lo regalò in dvd. Lo guardai e subito mi colpì
l’ambientazione. Il film è girato tra piatti paesaggi lacustri della
Russia Nord-orientale, tra San Pietroburgo e la Finlandia. La
sceneggiatura non ha fretta e la fotografia indugia sul cielo e sull’acqua
con una scansione che non può essere casuale. Cosa ci si può aspettare da
un film russo, dopo la perestrojka, dopo la caduta del muro di Berlino,
dopo la caduta del comunismo e la separazione di tante Nazioni prima
facenti parte dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche? Dentro
quale tradizione artistica può distendersi? Quella del Comunismo con i
suoi muscolosi lavoratori e i suoi Balilla colorati di rosso? Quella
tradizione artistica, se non avesse avuto ai suoi esordi un Eisenstein
utopista, consegnerebbe solo la paccottiglia tipica di tutti i regimi. Ma
nel cinema russo esiste Tarkoskij, la cui produzione cinematografica era
stata censurata negli anni ’60 con l’accusa di “Misticismo”. Ebbene Il
Ritorno di cui parla il film di
Andrey
Zvyagintsev, nascosto nei simboli, ma neanche troppo, è proprio suo: del
tanto deprecabile e anacronistico “Misticismo”. Il Comunismo degli anni
’60 lo condannava, la cultura post-moderna, post-cristiana (?),
politicamente correttissima, preferisce semplicemente ignorarlo. E invece,
come un fiume in piena il nostro film raccoglie la Tradizione mistica di
San Sergio Radonez con la sua connotazione teologica fortemente trinitaria
e giovannea, dissemina testi biblici e riferimenti teologici, com’è nella
tradizione russa: con uno sguardo ammirato al Rinascimento e alla cultura
artistica italiana.
Ora se il Misticismo è il colpevole, in questo film l’abbiamo proprio
trovato.
Volete un criterio di autenticità per tale affermazione? Eccolo:
l’attestazione multipla di elementi che non si capirebbero se non si
collegassero alla tradizione cristiana di matrice russo-ortodossa.
Motivi come quello della barca, dell’acqua, del lago in tempesta e del suo
attraversamento, della pesca, della cena sacrificale sono pochi per dire
che sono tracce evangeliche? E allora l’inquadratura iniziale del padre,
la prima volta che i suoi figli lo vedono? E’ lì, steso sul letto, ripreso
“dai piedi” mentre dorme con quel lenzuolo celeste appena addosso, con
quella leggera piuma che va a posarsi accanto al suo capo. Sarebbe forse
ardito dire che è un’immagine del Cristo morto, se non ci fosse una
citazione troppo letterale del “Cristo in scurto” del Mantegna a
dire inequivocabilmente che il regista ha voluto mostrare il padre, appena
ritornato, proprio con l’immagine del Cristo. Un caso? Ed è un caso che il
ragazzino vada a cercare in mezzo alla Bibbia illustrata l’unica foto che
ha del padre e la trova (un caso?) nella pagina in cui Abramo sta per
sacrificare Isacco? E l’immagine del sacrificio di Isacco, citata alla
lettera da Caravaggio, ritornerà (senza senso?) nel finale del film. Ma se
questi sono i riferimenti troppo diretti, altri sono presenti dentro una
rete di rimandi sottilmente teologici: la condivisione del vino nella
prima cena con il padre, il mistero della sua origine, l’invito a compiere
un viaggio in cui la pedagogia del padre mescola tenerezza e rigore,
lavacri purificatori della pioggia, la ricerca di un posto migliore per la
pesca, la costruzione di una misteriosa barca trovata (per caso?) sulla
riva e sulla quale il padre monta il motore acquistato in una tappa del
viaggio, l’attraversamento del lago in tempesta, il diverso rapporto del
padre con il figlio maggiore e con quello minore, fino all’epilogo dalle
chiarissime connotazioni sacramentali, per chi ha un minimo di
dimestichezza con questi “arcani misteri”, in una struggente composizione
ad anello tra l’inizio e la fine del film. E così il dato teologico
dispiega un’ alternanza di connotati paterni e cristologici, in un gioco
di rimandi tra l’Antico e il Nuovo Testamento, che approda infine al dato
simbolico-trinitario più evidente della fede cristiana: il Figlio come
immagine dell’Amore del Padre.
Un film, dunque, Il Ritorno, che è
certamente la storia di un’iniziazione di due ragazzi che dal padre
imparano a reggere il timone della propria vita e a lasciare le proprie
tracce sulla strada; ma i cui risvolti teologici fanno pensare ad un’altra
iniziazione, quella del popolo russo, defraudato per quasi un secolo della
propria spiritualità, e ora, come un preadolescente, ricerca il senso
delle proprie radici e le intravvede nel ritorno di Qualcuno che
l’ottusità ideologica aveva cercato di cancellare. Tutto questo il film lo
racconta con i silenzi, i paesaggi, le parole dell’anima russa in una
sintesi artistica per un regista esordiente davvero inusuale. Misticismo,
dunque, a cui anche l’Occidente ha messo la sua censura: quella ancora più
terribile dell’indifferenza.
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